Centro di Documentazione e Comunicazione Generativa
“Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana”
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In una lettera a Giorgio Pecorini del 7 aprile 1967, don Lorenzo si sofferma su un apparente paradosso figlio della superficialità di certi lettori (‘intellettuali cretini’) che attribuiscono al testo risultante dalla scrittura collettiva che ha coinvolto molte mani e soprattutto molte menti, uno ‘stile personalissimo’. Scrive don Milani all’amico giornalista: «Quello che sembra lo stile personalissimo di don Milani è solo lo stare per mesi su una frase sola togliendo via via tutto quello che si può togliere. Tutti sanno scrivere così purché lo vogliano. È solo un problema di non pigrizia [A questo proposito si veda la tappa successiva n.d.r.]. Così la classe operaia saprà scrivere meglio di quella borghese.» Lo stile personalissimo non è altro, quindi, che il risultato di una tecnica precisa, pensata, lenta, curata nei minimi dettagli. Una tecnica per cui non ci sono copyright o brevetti, perché don Milani spera possa diventare patrimonio dell’intera classe operaia (e naturalmente contadina). E per questo la Lettera la descrive accuratamente, così come una lettera di qualche anno prima (1963) che don Lorenzo manda al maestro Mario Lodi come accompagnamento di un altro testo realizzato con la tecnica della scrittura collettiva, la Lettera dei ragazzi di Barbiana ai ragazzi di Piadena.
Noi dunque si fa così:
Per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene un’idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola.
Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo. Si passano a uno a uno per scartare i doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in grandi monti e son capitoli. Ogni capitolo si divide in monticini e son paragrafi.
Ora si prova a dare un nome ad ogni paragrafo. Se non si riesce vuol dire che non contiene nulla o che contiene troppe cose. Qualche paragrafo sparisce. Qualcuno diventa due.
Coi nomi dei paragrafi si discute l’ordine logico finché nasce uno schema. Con lo schema si riordinano i monticini.
Si prende il primo monticino, si stendono sul tavolo i suoi foglietti e se ne trova l’ordine. Ora si butta giù il testo come viene viene.
Si ciclostila per averlo davanti tutti eguale. Poi forbici, colla e matite colorate. Si butta tutto all’aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila un’altra volta.
Comincia la gara a chi scopre parole da levare, aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo lunghe, due concetti in una frase sola.
Si chiama un estraneo dopo l’altro. Si bada che non siano stati troppo a scuola. Gli si fa leggere a alta voce. Si guarda se hanno inteso quello che volevamo dire.
Si accettano i loro consigli purché siano per la chiarezza. Si rifiutano i consigli di prudenza.
Dopo che s’è fatta tutta questa fatica, seguendo regole che valgono per tutti, si trova sempre l’intellettuale cretino che sentenzia: «Questa lettera ha uno stile personalissimo».

- Fondazione don Lorenzo Milani, Barbiana: il silenzio diventa voce, Firenze, Emmeci Grafiche, 2013, p. 35
- Fondazione don Lorenzo Milani (a cura di Sandra Gesualdi e Lauro Seriacopi), Gianni e Pierino. La scuola di Lettera a una professoressa, Arcidosso (GR), Edizioni Effigi, 2019, p. 40
- Gesualdi, S., Giorgi, P. (a cura di), Barbiana e la sua scuola. Immagini dall’archivio della Fondazione Don Lorenzo Milani, Firenze, Aska edizioni, 2014, p. 173
Agostino Burberi: La scuola davanti alla chiesa
Agostino Burberi: 1959 o 1961
Agostino Burberi: Agostino Ammannati
Agostino Burberi: Davanti alla chiesa
Agostino Burberi: Riconoscono Michele Gesualdi, coperto dal Priore, Francuccio Gesualdi e mia sorella Graziella
Agostino Burberi: Michele Gesualdi stava facendo lezione ai ragazzi più piccoli, probabilmente sulle lingue straniere




